Vladimir Kush, Mythology of the Ocean |
Stabilire
quale sia la tendenza dominante dell’arte oggi è praticamente impossibile. In
un mondo in cui la rete, i social network, i trasporti hanno definitivamente annullato
le barriere spazio-temporali; in un’epoca in cui l’informazione viaggia su
canali istantanei e universali; in una realtà in cui tutto è già stato fatto
(pare), sembra che domini una sola regola: “tutto è concesso”. In arte si può
fare tutto, la nostra non è L’epoca della rappresentazione, L’epoca del
paesaggio, L’epoca della pittura religiosa, dell’incisione piuttosto che della
scultura, etc.: questa è l’epoca del di tutto e di più, fotografia,
videoarte, performance, streetart, installazioni, e c’è persino qualche
pioniere che osa… dipingere!
In
tutto questo marasma, chi ci dice cosa è veramente arte e cosa è solo “una
buffonata”? Sinceramente non lo so! Da “studiosa” di storia dell’arte so che
non devo lasciarmi fuorviare dal gusto: una cosa è il giudizio di gusto,
personale e opinabile, tutt’altra cosa è il giudizio di valore, che deve essere
il frutto di un’analisi, deve considerare le coordinate geografico-temporali in
cui un autore e la sua opera si collocano, il suo ruolo e i suoi rapporti nel
flusso infinito della storia dell’arte etc.
Ma da appassionata di arte c’è un solo principio che seguo, un principio
bellissimo che mi è stato rivelato durante una conferenza dall’artista
contemporaneo Emilio Isgrò, il quale, interrogato su cosa fosse arte e cosa no
rispose più o meno così: «Molti oggi vogliono fare arte per diventare ricchi e
famosi, credono che fare arte significhi mettere in scena una provocazione… ma
non è così! All'arte chiediamo affetti, non effetti: gli effetti li sanno fare
tutti, gli affetti li sanno creare solo i grandi artisti». Non posso che essere
pienamente d’accordo, gli artisti che ci rimangono nel cuore sono quelli che ci
hanno saputo emozionare. Già Kandnsky ci aveva detto qualcosa di simile: «L'artista cercherà di suscitare sentimenti più delicati, senza nome. La
sua è una vita complessa, relativamente aristocratica e le sue opere daranno
allo spettatore sensibile emozioni sottili, inesprimibili a parole».
È
così, lasciandomi guidare dalle emozioni, che mi sono innamorata di Vladimir
Kush, artista russo nato a Mosca nel 1965 e attivo oggi soprattutto in America,
ma scoperto nel continente asiatico.
È
stato definito un surrealista, e in effetti rintracciamo nel suo lavoro tutti i
germi del Surrealismo: la dimensione onirica, del sogno; l’azione deformante sulle
figure e sulle cose; processi di metamorfosi su più di un livello. Abbiamo navi
che entrano in porti fatti di nuvole, navi le cui vele sono farfalle, elefanti con la proboscide a corno (lo strumento a fiato), oceani in bilico su crepacci di montagna…
Ma
come facciamo a definire surrealista un artista russo, americano di adozione, che
dipinge nel 2013?? Il Surrealismo nasce in Europa nel 1924 con il relativo
Manifesto e muore con i suoi principali esponenti: il poeta e teorico del
movimento André Breton e i pittori René Magritte, Joan Mirò, Max Ernst e
naturalmente Salvador Dalì, del quale troviamo più di un riflesso nell’opera di
Kush (…)
Come
fare quindi? Considerare Kush un surrealista “ritardatario” o trovare per lui
una definizione nuova? La risposta ce la fornisce l’artista stesso, il quale preferisce
definire la propria arte “realismo metaforico”. Kush
crede che i dipinti realistici mostrino l'abilità professionale dell'artista e si
serve di questo luogo comune per attirare gli spettatori in modo che essi
possano accettare le sue immagini impossibili e infine cogliere le metafore in
esse contenute ed esplorarne i diversi livelli di significato.
Ma adesso lasciamo parlare le opere…
JessB
Vladimir Kush, Departure of the winged ship |
Vladimir Kush, Metamorphosis |
Vladimir Kush, African Sonata |
Vladimir Kush, Haven |
Vladimir Kush, Wind |
Vladimir Kush, Journey along the edge of the earth |
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