Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto, 1910 |
1910,
Senza titolo (Primo acquerello astratto),
un’opera fondamentale per l’arte contemporanea, un'opera che segna il totale,
radicale superamento della rappresentazione.
Questo
desiderio profondo era nato in Kandinsky nel 1896, quando a Mosca vide per la
prima volta i Covoni di Monet: non sa
cosa siano per cui non capisce cosa quell’opera rappresenti. Improvvisamente si
rende conto che non ha nessuna importanza se non capisce quale sia il soggetto
della rappresentazione, anzi gli sembra di poter apprezzare meglio l’opera
senza il vincolo dell’oggetto rappresentato, si sente libero di apprezzare il
colore e la luce.
Claude Monet, I covoni, 1889 |
Avviene
in lui come un’agnizione, capisce che la rappresentazione è solo un vincolo per
la pittura.
Da
quel momento si insinua in lui il germe dell’astrazione che, dopo 14 anni di
incubazione, dà i suoi frutti nel 1910 con il Primo Acquerello Astratto.
È
un fulmine a ciel sereno, un’opera incredibile che spiazza non solo il pubblico
generico, ma anche gli artisti d’avanguardia.
Ci
troviamo per la prima volta di fronte a un’opera in cui ogni riferimento alla
realtà è scomparso. Possiamo tuttavia trovare ancora un rifermento, anche se
puramente metaforico, a una sorta di realtà: un sub-mondo, una vita biologica
vista al microscopio, il mondo del vetrino. Per questo il termine astratto si deve considerare improprio:
nella produzione di Kandinsky al Primo
acquerello astratto fa seguito, negli
anni dal ’10 al ’17, non l’Astrattismo vero e proprio (che ritroveremo invece
tra il ’17 e il ’44), ma il Biomorfismo. Nelle opere di questo periodo infatti
l’artista mette in campo le forme di una vita biologica vista al microscopio, è
il “mondo del vetrino”, ciò che sta al di là della materia, il noumeno.
Wassily Kandinsky, opera del priodo biomorfo: Piccoli piaceri, 1913 |
Wassily Kandinsky, opera del periodo astrattista: Composizione VIII, 1923 |
Kandinsky
entra nella materia, in perfetta omologia con tutti i campi del sapere: scienza
(raggi X, scoperta della divisibilità dell’atomo e scienza subatomica);
letteratura (Joyce con il suo Ulysses,
1914-‘21, entra nel meccanismo procedurale della scrittura, entra nella materia
letteraria); filosofia (Bergson ne L’evoluzione creatrice, 1907, introduce una nuova idea di spirito e materia che si
esplica nella metafora della fontana: l’acqua che sale è la materia che si fa
spirito, l’acqua che scende è lo spirito che si fa materia); linguistica
(Saussure, 1857-1913, nel suo Corso di
linguistica generale separa significato e significante: non c’è nessuna
relazione diretta fra le cose – significato - e le parole – significante-, gli
oggetti mantengono la propria “inseità” indipendentemente dalla parola che gli
associamo per convenzione).
Particolare
importanza assumono nell’ambito della ricerca artistica di Kandinsky le teorie
di Saussure: se il significante (la parola sia come materia visiva, morfema,
sia come materia uditiva, fonema) e il significato (la cosa in sé) non hanno
nessun rapporto, se non arbitrario, tra loro. Ne deriva una sostanziale
innaturalità del rapporto tra immagini e cose. Dal momento che questi rapporti
(cosa-parola-immagine) sono pure convenzioni, non ha più senso continuare a
considerarli come un pacchetto indivisibile: Kandinsky decide allora di abolire
i significati per usare solo i significanti (che nel caso della pittura sono i
mezzi del linguaggio artistico: forme e colori).
Non
dobbiamo concentrarci sull’identificazione di un senso, ma prendere
consapevolezza del fatto che senso e significato non coincidono.
Nel
Primo acquerello astratto non ci sono
significati, non ci sono le cose, si
tratta finalmente di arte non rappresentativa, di pittura che non rappresenta
ma si rappresenta, esistendo solo iuxta propria principia.
Se
nel Primo acquerello astratto esiste
una referenzialità, si tratta di una referenzialità indiretta, metaforica, che
riguarda il mondo biologico e risale alla vita primaria, alla forma stessa
della vita (al di là della realtà, al di là del visibile, noumeno).
In
quest’opera le forme sono libere, non si lasciano imprigionare da alcuna
tentazione referenziale, innestandosi così su un percorso della storia dell’arte
che arriva da lontano e che arriverà lontano: il percorso dell’informe (v. R.
Pasini, L’informe nell’arte contemporanea,
Mursia, Milano, 1989), che da i blots di Cozens (e ancor prima da Leonardo)
serpeggia attraverso l’arte fino all’Informale, passando per Turner, Cézanne,
Monet, Kandinsky, Mirò, Pollock. Con Kandinsky i blots di Cozans si fanno
tachen, con una fondamentale differenza: se per Cozens la macchia non è il
fine, ma il mezzo per poi giungere alla rappresentazione, per Kandinsky essa è
completamente autonoma, è l’opera stessa.
Si
manifesta così quella volontà di esprimersi attraverso forme non più
riconoscibili e colori liberi (svincolati dalla sudditanza alla logica
referenziale) che era già in Kandinsky fin dalle prime opere. Di queste ultime,
e in particolare delle opere dipinte a Murnau, ritroviamo i colori forti,
sovraccarichi, colori che denunciano un certo debito nei confronti del
Fauve-Esprssionismo o di un Simbolismo alla Gauguin. Dal punto di vista
cromatico è sempre mancato a Kandinsky il senso del limite e in questa fase il
superamento della rappresentazione avviene soprattutto attraverso il colore
(solo con l’Astrattismo vero e proprio riuscirà a dominare questo suo
ipertrofismo cromatico).
Wassily Kandinsky, Grüngasse in Murnau, 1909 |
Le
forme, sottospecie di microorganismi, protozoi che si muovono liberamente in
una sorta di liquido primordiale, si sfaldano fino a diventare filamenti che
non sono niente di più di un segno. Il segno sostituisce il di-segno, perché
esso non racconta, non dice, c’è e basta. L’istintualità del segno, dello
scarabocchio è propria di una fase primaria, così come la macchia, è veicolo di
un’energia istintuale (la problematica del segno sarà propria dell’Informale,
segno che si traduce in energia immediata del fare). Ancora una volta Kandinsky
entra in perfetta omologia con il clima delle Avanguardie, che volevano tornare
alle origini dell’umanità per trovare la purezza. Esemplare il caso di Gauguin,
che lascia l’Europa, “contaminata” dal materialismo, e va a cercare l’origine
là dove si poteva ancora trovare, nelle isole polinesiane. Se Gauguin trova la
purezza antropologicamente, Kandinsky la trova fattivamente, nel linguaggio
stesso della pittura; per lui, di origine russa, la purezza ha un nome:
spirito. Alla base dello spirito stanno l’innocenza e l’istinto. Lo spirito è
il primario, l’Es, che dandosi una forma si fa materia, secondario, Io
(freudianamente inteso).
Paul Gauguin, Ia orana Maria, 1891 |
La
pittura, con i soli mezzi che essa possiede, è tenuta a veicolare lo spirito,
l’artista è il vicario di questo processo, un sacerdote che ha l’onore e il
dovere di agire secondo il proprio talento restituendolo sulla tela seguendo i
soli dettami della necessità interiore (v. Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell'arte, 1910).
Sarebbe un errore però credere che Kandinsky, nell’indagare lo spirito, voglia
prescindere dalla materia: nella sua concezione egli integra l’uno e l’altro,
spirito e materia devono necessariamente convivere, non può esistere l’uno
senza l’altro. Questo concetto è ben esemplificato dalla metafora della fontana
di Bergson (in L’evoluzione creatrice,
1907): l’acqua che scende è lo spirito che si fa materia, l’acqua che sale è la
materia che si fa spirito.
Nel
Primo acquerello astratto, anzi,
troviamo una doppia materia: la metafora della materia (il mondo del vetrino) e
la materia pittorica libera.
Secondo
la nuova legge dell’arte contemporanea, la pittura non rappresentativa, non
dice la realtà, dice sé stessa.
Assistiamo
così al divorzio tra realtà e pittura e alla nascita della realtà della pittura (non più pittura della realtà).
Finalmente
la pittura è solo sé stessa, solo forme e colori, non più subordinati a
finalità estrinseche (Cézanne: «I valori compositivi
sono più importanti dei valori referenziali»).
L’osservatore
subisce uno shock: non ha più elementi che lo guidino alla comprensione
dell’opera.
Kandinsky
fa regredire la pittura dall’atto alla potenza (Aristotele: potenza come
possibilità dell’atto), dalla realtà alla possibilità. La realtà dell’arte sta
per Kandinsky nella possibilità, l’atto nella potenza, il significato nel
significante.
Con
il Primo acquerello astratto si
compie insomma la seconda mutazione genetica dell’arte: dopo il crollo della
prospettiva, esce di scena anche la rappresentazione (n.b. mentre la
prospettiva in senso rinascimentale esce di scena definitivamente, la
rappresentazione ritorna, anche se in forme molto diverse: a differenza di
quanto pensava Kandinsky, non si tratta di un processo irreversibile).
Possiamo
così individuare in quest’opera l’esito di un percorso individuale e storico al
tempo stesso (che trova le sue ragioni nell’invenzione della fotografia, la
quale rende superfluo dipingere la realtà; nonché in quella necessità storica
di entrare nella materia e andare al di là del dato fenomenico coniugatasi
attraverso la scienza, la letteratura, la filosofia, la linguistica, e espressa
da tutte le Avanguardie).
Il
Primo acquerello astratto rappresenta
la massima libertà che un artista si sia mai concesso (nell’ambito della
pittura ovviamente, dal punto di vista operativo farà ben di più, e negli
stessi anni, Marcel Duchamp), pietra miliare dell’arte contemporanea, episodio
unico e irripetibile, punto d’arrivo insuperabile per Kandinsky stesso: né le
opere biomorfe del ’10-’17 né quelle astrattiste del ’17-’44 possiedono la
stessa forza rivoluzionaria e la stessa libertà incondizionata.
JessB
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