Pochi sanno che Dino Buzzati, celebre come “lo scrittore” di
Barnabo delle montagne, di Un amore e, soprattutto, de Il deserto dei Tartari,
si è in realtà sempre considerato un pittore: «Il fatto è questo: io mi trovo
vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un
periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il
giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa […]» (Dino Buzzati).
Ne esploriamo il doppio binario creativo attraverso alcune
tematiche ricorrenti. Partiamo dalla città.
La città è per Buzzati un luogo affascinante ma controverso:
da un lato la identifica come l’atroce meccanismo, operoso e perverso, in cui l’uomo
inevitabilmente si perde e soccombe, ma dall'altro lo incuriosisce l’idea del misterioso
brulicare di molteplici vite parallele: «Vedi, la moltiplicazione delle finestre esprime – o per lo
meno sembra che possa esprimere – la miriade e la varietà delle vite
concentrate in breve spazio» (cit. D.B)
E infatti “la moltiplicazione delle finestre” ricorre
spessissimo nelle opere pittoriche, spesso associata alla sezione, parziale o
totale, dei palazzi.
In Gli ingrandimenti,
per esempio, assistiamo, attraverso cinque vignette, a un processo di
avvicinamento progressivo che, dal brulicare di palazzi con le loro mille
finestre del primo rettangolo figurato, ci porta, attraverso ingrandimenti
successivi (proprio come suggerisce il titolo), fino a sbirciare all’interno di
due appartamenti, gli unici ancora illuminati nel buio della notte. Scopriamo
che in uno si è consumato un efferato delitto, nell’altro un gruppo di persone
è misteriosamente riunito intorno a un tavolo su quale giace un corpicino
inerme, un neonato forse o forse soltanto una bambola. Buzzati non ce lo dice,
ci pone semplicemente nella condizione dell’osservatore, del voyeur; posizione
con la quale egli stesso si identifica: ciò che fa è semplicemente immaginare
di guardare con un cannocchiale all’interno di due delle infinite finestre di
una metropoli, per svelare i segreti che nell’intimità di ciascuna abitazione
si celano. È nel quotidiano che si nasconde il misterioso, il surreale, il
fantastico, l’inesplicabile. Non possiamo fare altro che scoprirlo al di là
delle apparenze, ma non ci è dato conoscere altro.
Se in Gli ingrandimenti Buzzati sceglie di mostrarci ciò che
accade in due sole finestre, in altre opere, attraverso l’espediente del
palazzo in sezione, ci permette di osservare ciò che accade contemporaneamente
a tutti gli abitanti dell’edificio. Lo vediamo per esempio in La custode dei
condomini. Una misteriosa donna con cravatta e bombetta sembra stare di guardia
a un’infinità di individui addormentati nei loro letti: tutti dormono, come ci
suggerisce la didascalia, ma tutti sognano la figlia del custode, Enrichetta,
«che gli fa cenno invitandoli freudianamente all’amore». Ma allora la donna in
bombetta non è presenza reale: è proiezione del sogno. Non è un caso allora che, per restituire un’immagine
onirica, Buzzati citi qui uno dei suoi surrealisti preferiti: il cappellino di
Enrichetta, non può che ricordarci Magritte, punto di riferimento
imprescindibile per lo scrittore-pittore bellunese, non solo dal punto di vista
iconografico, ma soprattutto per la sua capacità di creare immagini ambigue e
polivalenti in cui significato e significante si trovano spesso in
contraddizione. Si tratta di un aspetto che affascina molto Buzzati e che egli
stesso applica nelle sue opere.
Il caso forse più
accattivante che declina l’idea buzzatiana del moltiplicarsi di vite parallele
nelle metropoli e nelle città è I misteri dei condomini, 1967. Nei più di
diciannove appartamenti che ci è dato spiare accadono le cose più disparate:
una donna si spoglia per andare a dormire, due persone giocano a scacchi, altre
due litigano, c’è un uomo al gabinetto, una festa elegante, un rapinatore,
persino l’improbabile attacco di un mostro succhiasangue (evento che interessa
particolarmente l’artista dal momento che è l’unico elemento tra quelli interni
al condominio a spiccare, con il suo rosso acceso, sul generale giallo e nero).
«Nei grandi palazzi condominiali delle metropoli succedono
tante cose, nella terzultima stanza a destra per esempio, in questo momento è
entrato un vampiro. In quanto alla donna in primo piano, che nasconde purtroppo
alcune abitazioni interessanti, è Consuelo Fabian, zingara, che non abita nella
casa e fa la donna bersaglio nei baracconi». Così recita la didascalia del
quadro, che oltre a confermare l’interesse quasi voyeuristico di Buzzati per
ciò che accade nelle moltitudini di appartamenti dei palazzi cittadini,
introduce la figura di Consuelo Fabian, la misteriosa donna che domina la
composizione, ma se ne parla, è solo per informarci del fatto che la sua presenza non
significa nulla, anzi, “purtroppo nasconde alcune abitazioni interessanti”.
Nel romanzo Un amore, ambientato nella sua famigliare
Milano, troviamo spesso riferimenti alla moltitudine di vite, ai palazzi, uno
attaccato all’altro, alle case «sature di vite»: «lavorava in pieno la città a quell’ora, sopra, sotto, e
intorno a lui, nella medesima casa uomini come lui lavoravano, e nella casa di
fronte lavoravano e nella casa vecchissima di via Foppa che si intravedeva in
uno squarcio tra le case, e dietro ancora, nelle case invisibili e più in là,
più in là, nella caligine, per chilometri e chilometri, lavoravano. Carte,
registri, moduli, telefonate, quietanze, mani ingombre di penne, di arnesi, di
matite, intente a una vite, a un incastro, a un’addizione, a un innesto, a una
saldatura, a un estratto conto, a un fissaggio, sterminio di formiche
frenetiche assetate di benessere eppure i loro pensieri oh, gli veniva da
ridere, tutto intorno, per i chilometri e chilometri suddetti, pensieri simili
ai suoi, sconci e squisiti, per la misteriosa voce che chiama alla propagazione
della specie, transumata in vizi strani e brucianti […]»
Leggendo questo
brano, scritto tutto in un fiato, senza un segno di punteggiatura più forte
della virgola, Buzzati riesce a restituirci la sensazione di una pluralità di
vite che accadono contemporaneamente. La stessa impressione l’abbiamo
osservando le immagini: attraverso gli spaccati dei palazzi cogliamo in un solo
momento più di una situazione. Un effetto analogo è prodotto dalle opere a
vignette. Ne sono prova dipinti come La casa dei misteri, I diavolini, Un caso
edilizio.
In opere come queste notiamo che solo in rari casi le
immagini sono montate in sequenza diacronica: pur illustrando uno svolgimento
cronologico, le vignette alludono anche, nel modo in cui sono impaginate, a
un’idea di sincronia dei diversi momenti, non tanto dissimile all’ubiquità
spazio-temporale dei palazzi in sezione.
La città torna in Poema a fumetti - oggi considerato dalla
critica sintesi e capolavoro dell’attività letteraria buzzatiana – in cui
l’autore narra del viaggio all’inferno di un Orfeo (Orfi) dei giorni nostri.
Sul piano delle tematiche un polo di riflessione importante
è proprio la localizzazione dell’inferno. Quando Orfi obbietta di non trovare
alcuna differenza tra il luogo in cui si trova e la città, il diavolo custode
spiega: «per te, Orfi, è Milano essendo la tua vita, per un altro è Zagabria,
Karlsruhe, Paranà. O te lo immaginavi come diceva Dante?». L’aldilà per Buzzati
si identifica con il luogo in cui ognuno di noi vive. Per lui e quindi per il
suo Orfeo, è Milano. Ecco così giungere al massimo grado l’idea della città
come meccanismo perverso, alienante, in cui è facile smarrirsi e perdersi per
sempre. Vediamo i soliti palazzi, con millioni e millioni di finestre, in cui
vivono millioni e millioni di persone, moltitudini di vite scolorite eppure
misteriose, uniche nel loro piccolo, anche se perse tra gli ingranaggi della
società.
Por la calle #StreetArtSantander #1 Roa, BoaMistura e Crajes
Por la calle #StreetArtSantander #2 I decorativi
Por la calle #StreetArtSantander #3 I selvaggi
Buon compleanno a Jackson Pollock!
Un 2013 di scandali, scoperte e record battuti
Trova l'intruso! Il Natale secondo Ed Wheeler
Come Oloferne perse la testa per Giuditta
Egon Schiele, l'insostenibile pesantezza dell'essere
Le visioni oniriche di Vladimir Kush
Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto: il divorzio tra realtà e pittura
Le dimensioni del sacro nell'arte contemporanea
Auguri a René Magritte, 115 anni oggi!
La materiologia di Carlo Patrone (1929-2010)
Artoteche, arte... in affitto!
Santander: Renzo Piano progetta il nuovo Centro Botin per l'arte contemporanea
Por la calle #StreetArtSantander #2 I decorativi
Por la calle #StreetArtSantander #3 I selvaggi
Buon compleanno a Jackson Pollock!
Un 2013 di scandali, scoperte e record battuti
Trova l'intruso! Il Natale secondo Ed Wheeler
Come Oloferne perse la testa per Giuditta
Egon Schiele, l'insostenibile pesantezza dell'essere
Le visioni oniriche di Vladimir Kush
Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto: il divorzio tra realtà e pittura
Le dimensioni del sacro nell'arte contemporanea
Auguri a René Magritte, 115 anni oggi!
La materiologia di Carlo Patrone (1929-2010)
Artoteche, arte... in affitto!
Santander: Renzo Piano progetta il nuovo Centro Botin per l'arte contemporanea
Buone descrizioni di ciascuna dei dipinti. Mi è piaciuto troppo leggele; non avevo mai visto dipinti di Buzzati e quella que mi è piiaciuta di più è stato "gli ingrandimenti", ma anche gli altri.
RispondiEliminapodi-.
Grazie Podi! Il tuo commento mi fa molto piacere!! Presto pubblicherò altri articoli sulla pittura di Buzzati, continua a seguirci! ;)
Elimina