Nelle
vicinanze della Chiesa di San Nicolò, di cui abbiamo parlato nell’ultimo post
del ciclo Verona e il Barocco, troviamo Palazzo Sansebastiani, detto anche “dei
Diamanti” per la caratteristica pietra a bugnato che ricopre tutta la muratura
esterna.
La
vicenda edilizia di questo palazzo si colloca all’interno di una volontà di
ridefinire il tessuto urbanistico della città, senza tuttavia creare cesure
evidenti con la precedente tradizione cinquecentesca. Le istanze di stampo
classicista continuano ad essere tenute in considerazione, è vero, ma si cerca
un linguaggio autoctono e originale, con l’introduzione di elementi barocchi
locali che appaiono alleggeriti e svuotati rispetto a certe soluzioni,
certamente più magniloquenti, della Roma dello stesso periodo.
Palazzo
Sansebastiani, che sappiamo essere concluso nel 1582 (come risulta da
un’iscrizione posta nel cortile interno), nonostante gli ingenti danni subiti
durante la Seconda Guerra Mondiale, si presenta ad oggi ben leggibile grazie un
filologico lavoro di ricostruzione.
Il
committente è il nobile Camillo Capella, marito di Elena Sansebastiani, che
decide di intervenire su un tessuto urbano predefinito. Nel suo testamento, risalente al 1589, l’edificio viene definito “a ponta di diamanti”
descrivendo con queste parole l’originale bugnato che connota la facciata e che
rimanda stilisticamente a certe soluzioni emiliane del XV secolo.
L’architetto
non è noto, forse l’autore si riallaccia a episodi architettonici come palazzoThiene di Vicenza, oppure, all’interno del contesto urbano della stessa Verona, alla Loggia delConsiglio o al palazzo Confalonieri poi Da Lisca.
Imponente
appare il portale centrale, con le Vittorie alate che incorniciano l’arco a
tutto sesto, mentre la trabeazione è decorata con metope e triglifi. La
facciata al piano superiore presenta un elemento decorativo centrale con ai
lati finestre a bifora.
Ma è
sicuramente la texture a punta di
diamanti che connota questo palazzo come un unicum
di grande originalità.
JessB & ValeriaBigardi
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