Google+ Viaggio Senza Vento: ARTE - Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto: il divorzio tra realtà e pittura

lunedì 25 novembre 2013

ARTE - Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto: il divorzio tra realtà e pittura

Wassily Kandinsky, Primo acquerello astratto, 1910



1910, Senza titolo (Primo acquerello astratto), un’opera fondamentale per l’arte contemporanea, un'opera che segna il totale, radicale superamento della rappresentazione.
Questo desiderio profondo era nato in Kandinsky nel 1896, quando a Mosca vide per la prima volta i Covoni di Monet: non sa cosa siano per cui non capisce cosa quell’opera rappresenti. Improvvisamente si rende conto che non ha nessuna importanza se non capisce quale sia il soggetto della rappresentazione, anzi gli sembra di poter apprezzare meglio l’opera senza il vincolo dell’oggetto rappresentato, si sente libero di apprezzare il colore e la luce.

Claude Monet, I covoni, 1889

Avviene in lui come un’agnizione, capisce che la rappresentazione è solo un vincolo per la pittura.
Da quel momento si insinua in lui il germe dell’astrazione che, dopo 14 anni di incubazione, dà i suoi frutti nel 1910 con il Primo Acquerello Astratto.
È un fulmine a ciel sereno, un’opera incredibile che spiazza non solo il pubblico generico, ma anche gli artisti d’avanguardia.
Ci troviamo per la prima volta di fronte a un’opera in cui ogni riferimento alla realtà è scomparso. Possiamo tuttavia trovare ancora un rifermento, anche se puramente metaforico, a una sorta di realtà: un sub-mondo, una vita biologica vista al microscopio, il mondo del vetrino. Per questo il termine astratto si deve considerare improprio: nella produzione di Kandinsky al Primo acquerello astratto fa seguito, negli anni dal ’10 al ’17, non l’Astrattismo vero e proprio (che ritroveremo invece tra il ’17 e il ’44), ma il Biomorfismo. Nelle opere di questo periodo infatti l’artista mette in campo le forme di una vita biologica vista al microscopio, è il “mondo del vetrino”, ciò che sta al di là della materia, il noumeno

Wassily Kandinsky, opera del priodo biomorfo: Piccoli piaceri, 1913
Wassily Kandinsky, opera del periodo astrattista: Composizione VIII, 1923

Kandinsky entra nella materia, in perfetta omologia con tutti i campi del sapere: scienza (raggi X, scoperta della divisibilità dell’atomo e scienza subatomica); letteratura (Joyce con il suo Ulysses, 1914-‘21, entra nel meccanismo procedurale della scrittura, entra nella materia letteraria); filosofia (Bergson ne L’evoluzione creatrice, 1907, introduce una nuova idea di spirito e materia che si esplica nella metafora della fontana: l’acqua che sale è la materia che si fa spirito, l’acqua che scende è lo spirito che si fa materia); linguistica (Saussure, 1857-1913, nel suo Corso di linguistica generale separa significato e significante: non c’è nessuna relazione diretta fra le cose – significato - e le parole – significante-, gli oggetti mantengono la propria “inseità” indipendentemente dalla parola che gli associamo per convenzione).
Particolare importanza assumono nell’ambito della ricerca artistica di Kandinsky le teorie di Saussure: se il significante (la parola sia come materia visiva, morfema, sia come materia uditiva, fonema) e il significato (la cosa in sé) non hanno nessun rapporto, se non arbitrario, tra loro. Ne deriva una sostanziale innaturalità del rapporto tra immagini e cose. Dal momento che questi rapporti (cosa-parola-immagine) sono pure convenzioni, non ha più senso continuare a considerarli come un pacchetto indivisibile: Kandinsky decide allora di abolire i significati per usare solo i significanti (che nel caso della pittura sono i mezzi del linguaggio artistico: forme e colori).
Non dobbiamo concentrarci sull’identificazione di un senso, ma prendere consapevolezza del fatto che senso e significato non coincidono.
Nel Primo acquerello astratto non ci sono significati, non ci sono le cose, si tratta finalmente di arte non rappresentativa, di pittura che non rappresenta ma si rappresenta, esistendo solo iuxta propria principia.
Se nel Primo acquerello astratto esiste una referenzialità, si tratta di una referenzialità indiretta, metaforica, che riguarda il mondo biologico e risale alla vita primaria, alla forma stessa della vita (al di là della realtà, al di là del visibile, noumeno).
In quest’opera le forme sono libere, non si lasciano imprigionare da alcuna tentazione referenziale, innestandosi così su un percorso della storia dell’arte che arriva da lontano e che arriverà lontano: il percorso dell’informe (v. R. Pasini, L’informe nell’arte contemporanea, Mursia, Milano, 1989), che da i blots di Cozens (e ancor prima da Leonardo) serpeggia attraverso l’arte fino all’Informale, passando per Turner, Cézanne, Monet, Kandinsky, Mirò, Pollock. Con Kandinsky i blots di Cozans si fanno tachen, con una fondamentale differenza: se per Cozens la macchia non è il fine, ma il mezzo per poi giungere alla rappresentazione, per Kandinsky essa è completamente autonoma, è l’opera stessa.
Si manifesta così quella volontà di esprimersi attraverso forme non più riconoscibili e colori liberi (svincolati dalla sudditanza alla logica referenziale) che era già in Kandinsky fin dalle prime opere. Di queste ultime, e in particolare delle opere dipinte a Murnau, ritroviamo i colori forti, sovraccarichi, colori che denunciano un certo debito nei confronti del Fauve-Esprssionismo o di un Simbolismo alla Gauguin. Dal punto di vista cromatico è sempre mancato a Kandinsky il senso del limite e in questa fase il superamento della rappresentazione avviene soprattutto attraverso il colore (solo con l’Astrattismo vero e proprio riuscirà a dominare questo suo ipertrofismo cromatico).

Wassily Kandinsky, Grüngasse in Murnau, 1909

Le forme, sottospecie di microorganismi, protozoi che si muovono liberamente in una sorta di liquido primordiale, si sfaldano fino a diventare filamenti che non sono niente di più di un segno. Il segno sostituisce il di-segno, perché esso non racconta, non dice, c’è e basta. L’istintualità del segno, dello scarabocchio è propria di una fase primaria, così come la macchia, è veicolo di un’energia istintuale (la problematica del segno sarà propria dell’Informale, segno che si traduce in energia immediata del fare). Ancora una volta Kandinsky entra in perfetta omologia con il clima delle Avanguardie, che volevano tornare alle origini dell’umanità per trovare la purezza. Esemplare il caso di Gauguin, che lascia l’Europa, “contaminata” dal materialismo, e va a cercare l’origine là dove si poteva ancora trovare, nelle isole polinesiane. Se Gauguin trova la purezza antropologicamente, Kandinsky la trova fattivamente, nel linguaggio stesso della pittura; per lui, di origine russa, la purezza ha un nome: spirito. Alla base dello spirito stanno l’innocenza e l’istinto. Lo spirito è il primario, l’Es, che dandosi una forma si fa materia, secondario, Io (freudianamente inteso). 

Paul Gauguin, Ia orana Maria, 1891

La pittura, con i soli mezzi che essa possiede, è tenuta a veicolare lo spirito, l’artista è il vicario di questo processo, un sacerdote che ha l’onore e il dovere di agire secondo il proprio talento restituendolo sulla tela seguendo i soli dettami della necessità interiore (v. Wassily Kandinsky, Lo spirituale nell'arte, 1910). Sarebbe un errore però credere che Kandinsky, nell’indagare lo spirito, voglia prescindere dalla materia: nella sua concezione egli integra l’uno e l’altro, spirito e materia devono necessariamente convivere, non può esistere l’uno senza l’altro. Questo concetto è ben esemplificato dalla metafora della fontana di Bergson (in L’evoluzione creatrice, 1907): l’acqua che scende è lo spirito che si fa materia, l’acqua che sale è la materia che si fa spirito.
Nel Primo acquerello astratto, anzi, troviamo una doppia materia: la metafora della materia (il mondo del vetrino) e la materia pittorica libera.
Secondo la nuova legge dell’arte contemporanea, la pittura non rappresentativa, non dice la realtà, dice sé stessa.
Assistiamo così al divorzio tra realtà e pittura e alla nascita della realtà della pittura (non più pittura della realtà).
Finalmente la pittura è solo sé stessa, solo forme e colori, non più subordinati a finalità estrinseche (Cézanne: «I valori compositivi sono più importanti dei valori referenziali»).
L’osservatore subisce uno shock: non ha più elementi che lo guidino alla comprensione dell’opera.
Kandinsky fa regredire la pittura dall’atto alla potenza (Aristotele: potenza come possibilità dell’atto), dalla realtà alla possibilità. La realtà dell’arte sta per Kandinsky nella possibilità, l’atto nella potenza, il significato nel significante.
Con il Primo acquerello astratto si compie insomma la seconda mutazione genetica dell’arte: dopo il crollo della prospettiva, esce di scena anche la rappresentazione (n.b. mentre la prospettiva in senso rinascimentale esce di scena definitivamente, la rappresentazione ritorna, anche se in forme molto diverse: a differenza di quanto pensava Kandinsky, non si tratta di un processo irreversibile).
Possiamo così individuare in quest’opera l’esito di un percorso individuale e storico al tempo stesso (che trova le sue ragioni nell’invenzione della fotografia, la quale rende superfluo dipingere la realtà; nonché in quella necessità storica di entrare nella materia e andare al di là del dato fenomenico coniugatasi attraverso la scienza, la letteratura, la filosofia, la linguistica, e espressa da tutte le Avanguardie).
Il Primo acquerello astratto rappresenta la massima libertà che un artista si sia mai concesso (nell’ambito della pittura ovviamente, dal punto di vista operativo farà ben di più, e negli stessi anni, Marcel Duchamp), pietra miliare dell’arte contemporanea, episodio unico e irripetibile, punto d’arrivo insuperabile per Kandinsky stesso: né le opere biomorfe del ’10-’17 né quelle astrattiste del ’17-’44 possiedono la stessa forza rivoluzionaria e la stessa libertà incondizionata.  

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