Un disco
underground va raccontato da almeno due punti di vista. Da un lato bisogna
considerare che ai più il nome Falkenbach non dice assolutamente nulla;
dall’altro, chi lo conosce già sa esattamente cosa aspettarsi e, naturalmente,
vorrà conoscere i dettagli più significativi e il livello qualitativo prima di
lanciarsi in un eventuale acquisto.
Per i
profani potrebbe essere utile sapere che ”i” Falkenbach sono una one man band,
precisamente nella persona di Vratyas Vakyas, dedito a dischi black
metal/viking/folk da ormai quasi un ventennio. One man band di origine
islandese si è sempre pensato, ma a quanto pare non è così. Sembra infatti che,
nonostante l’idioma utilizzato nei testi e le ambientazioni dei suoi pezzi, il
buon Vratyas non abbia origini vichinghe ma sia bensì tedesco.
Beh, poco
importa; a noi piace immaginarlo come un solitario cantastorie che passa la
vita in mezzo ai boschi, vista fiordo, a comporre ballate che rievocano i bei
tempi andati, i riti pagani, i pericolosi viaggi delle navi vichinghe lungo le
coste oceaniche e la spiritualità della natura tutta. Sì, ci piace proprio
pensarlo così: un malinconico menestrello islandese, discendente di grandi re
vichinghi, che grazie alla sua musica ci trasporta in mondi lontanissimi del
passato, dove a farla da padrone erano gli alti valori quali il coraggio,
l’onore e il grande rispetto degli dei che altro non incarnavano se non le
forze incontrastabili della natura e…
…un
momento.
C’è già
stato un factotum che suonava e cantava di vichinghi, montagne sacre, laghi
magici, spade e guerrieri in una one man band… Quorthon! I Bathory! Come
ho fatto a non pensarci prima... D’altro canto è impossibile provare a creare
questo tipo di atmosfere prescindendo dalla lezione impartita dai masterpiece
dei Bathory. Ne sanno qualcosa anche i Graveland, gli Enslaved
e gli ultimissimi
Darkthrone, tra i tanti.
Mi sembra
di aver detto tutto... Ah no, dimenticavo di raccontare il disco ai fan. Per
voi basti sapere probabilmente è il disco più riuscito della discografia dei
Falkenbach, al pari del meraviglioso debutto En Their Medh Riki Fara e
del sontuoso Ok Nefna
Tysvar Ty, anche se in Asa l’anima folk è lasciata decisamente in secondo
piano. Le sfuriate più squisitamente black metal sono invece bilanciate da
momenti più solenni che rievocano la magia di dischi quali Nordland I e II. Questo a
tal punto che un mio grande amico ha definito Asa come “Nordland parte III”.
“Scherza coi fanti ma lascia stare i santi”, non facciamo rivoltare il povero
Quorthon nei soffici giacigli del Valhalla nei quali
riposa.
Ma la
verità è che Asa è proprio così: un disco vario, personale, nel quale Vakyas
riesce nel duplice compito di celebrare le sognanti atmosfere dei dischi epici dei Bathory
fondendole con il black
metal più classico, senza però mai snaturarsi.
Up high!
Up high!
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