Ascoltare il ritorno di uno dei tuoi
gruppi preferiti dopo diciassette anni dallo scioglimento non è cosa
emotivamente facile. I timori erano tanti: sarà un disco all’altezza del nome
che porta in copertina? O sarà l’ennesimo piatto collage composto
esclusivamente per accontentare i fan (e pagarsi le bollette) come abbiamo
sentito su molti, troppi, dischi reunion? Come suoneranno senza Owen (Ammott se
n’era già andato dopo Heartwork senza troppi rimpianti)? E soprattutto, nel
2013 ha ancora senso un nuovo disco dei Carcass? Che voglia avrò di
ascoltarlo?!
Beh, da qualche parte, probabilmente
su una bustina dello zucchero, avevo letto che preoccuparsi è solo tempo perso.
Anche stavolta la bustina aveva ragione da vendere.
Tutti i dubbi di cui sopra svaniscono
già nell’accoppiata iniziale 1985/Thrasher abbatoir, la prima una breve intro
strumentale dal titolo quanto mai esplicativo, la seconda scritta veramente
negli anni '80 e trasudante l’ignoranza diretta della prima ondata death metal.
Ve la ricordate Unholy blasphemies dei Morbid angel no? Ecco. La seguente
Cadaver Pouch Conveyor System (complimenti anche per i titoli, sempre molto
sobri e delicati…) espone felicemente tutto ciò di cui è capace il duo
Walker/Steer, ovvero creare una commistione di grind, death, thrash, melodia,
tecnica e groove mantenendo l’approccio punk e rock’n’roll dei Carcass,
che probabilmente è l’alchimia che da sempre li eleva nell’olimpo della musica
estrema.
E questo sarà un po’ il litemotiv di
tutto il materiale contenuto in Surgical Steel: “Ok sono passati 17
anni, c’è stato dell’altro nel frattempo, ma noi l’abbiamo inventato, evoluto e
noi lo plasmiamo e rigiriamo come vogliamo”.
Proprio come la nonna che più
invecchia più perfeziona la ricetta della torta di mele senza curarsi di come
la fa la vicina di casa; e, nonostante l’impasto comune, ogni traccia ha una
storia a sé: si passa dal mid tempo terzinato di A Congelated Clot of Blood
(impossibile non scapocciare) alle intricatissime The Master Butcher Apron e
Noncompliance to ASTM F899-12 standard (che fatica sti titoli…) che ricordano
la brillante varietà dei capolavori quali Necroticism e Heartwork.
A proposito, a questo punto dovrei
fare un paragone qualitativo con i loro dischi classici. Beh no, non ha senso
farlo.
Se da un lato, come accennato sopra,
Surgical steel è un lavoro enciclopedico (Volume 1: il metal estremo a tutto
tondo) e riassuntivo della loro carriera (dal grind più becero di Reek of
putrefaction/Symphonies of sickness alla sontuosità di Heartwork, ai groove
rallentati di Necroticism) la verità è che si tratta proprio di un nuovo disco
dei Carcass. Nuovo perché hanno saputo reinventarsi, nuovo perché ogni traccia,
ogni passaggio, ogni riff suona, naturale, convinto, fresco.
Le scelte stilistiche ricordano
sicuramente Heartwork più che gli altri dischi, ma le numerose aperture verso
il thrash, lo speed, il classic metal anni ‘80, come diamine volete chiamarlo,
ne fanno qualcosa di diverso, inesplorato anche per la loro eclettica
discografia. Intendiamoci, Surgical steel odora ovunque del pungente, asettico,
forense “smell of Carcass”, lo screaming nasale/ferale di Walker è
incredibilmente immutato e Steer macina rimiche tanto intricate quanto
accattivanti, e no, vi suonerà eretico ma il chirurgico lavoro di Wilding
dietro le pelli non fa rimpiangere neanche per un istante il povero Owen. Sta
di fatto che la seconda metà del disco è preziosamente intrisa di richiami al
metal di fine anni ‘80, quello bello insomma. In questo senso spiccano The
Granulating Dark Satanic Mills (aridaje…), Unfit for Human Consumption, e la
conclusiva Mount of Execution, servita con tanto di intro acustica (!) e
reprise scavezzacollo. Ripeto, il tutto senza mai perdere un milligrammo di
personalità.
Per farla breve, consapevoli di aver
scritto le pagine più importanti della storia della musica estrema, ora i
Carcass si permettono di rimodellarla, attingendo non solo dalla loro infinita
enciclopedia di stili ma anche da altri lidi, e la sorpresa è che il risultato
è piacevolmente fresco. Un plauso finale va anche all’edizione deluxe in argento
cartonato, che non mi pento di definire (cit.) molto ben curata, arricchita
dalla bonus track Intensive battery brooding, che, manco a dirlo, è all’altezza
di tutto il resto.
M.M.
Articolo scritto per www.blackout69.com
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