Sarà stata l’atmosfera di Halloween, o
la lettura del capolavoro di Stoker che mi ha messo appetito, sta di fatto che
senza accorgermene in meno di un mese ho ingurgitato praticamente tutte le
versioni cinematografiche di Dracula. Tutte no, solo le più rilevanti, almeno
secondo le classifiche del web. È stato curioso comunque notare come la stessa
storia assume connotati e modalità narrative molto diverse a seconda delle
epoche e del pubblico alla quale è stata sottoposta. Con ordine: il primordiale
Nosferatu del 1922 è una riproposizione molto approssimativa del romanzo, con
infinte variazioni e semplificazioni. È un film muto, in bianco e nero,
realizzato con strumentazioni antidiluviane. Capolavoro di avanguardia per i
cinefili, di difficile digestione per tutti gli altri. Già la versione del ’31
con Bela Lugosi (esatto, quello della canzone dei Bauhaus) inizia a segnare i
dettami che diventeranno poi punti fissi nella filmografia riguardante il
romanzo di Stoker. Un mezzo buco nell’acqua invece l’episodio del ’58, il primo
di una lunga serie con Cristofer Lee nei panni del Conte Vlad. Buone le
intenzioni, poco mordente nella riuscita. Il primo vero capolavoro è la
versione del 1977per la TV britannica: fedelissimo (a differenza di tutte le
versioni citate), inquietante, esplicito al limite dello splatter e con un
Louis Jourdan dal carisma infinito. La versione del 1992 di Coppola meriterebbe
un saggio a sé solo per decantare le lodi di fotografia, regia, costumi,
effetti speciali e le strepitose interpretazioni di Gary Oldman e Anthony Hopkins.
L’ultimo vagito del vampiro più famoso della storia arriva dalla pacchianissima
serie in uscita in queste settimane sulla NBC. Molto, forse troppo moderna,
figlia dei vari Underworld e Twilight, schiava del ritmo forsennato e del voler
stupire a tutti i costi, è realizzata con molta cura ma paga il fatto di
introdurre troppa carne al fuoco perdendo così il focus romantico/ottocentesco
che rende così speciale la storia di Vlad Tepes.
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